Come è nato l’articolo sulla Generazione Perduta e perché (forse) non abbiamo fatto la rivoluzione
Nel 2012, l’allora presidente del Consiglio Mario Monti dichiarò che gli Italiani nati fra gli anni ’70 e gli anni ’80 erano una “Generazione Perduta” non essendoci state adeguate politiche di governo nei precedenti 20 anni e che ora si potevano solo limitare i danni e pensare alle generazioni successive. A questa dichiarazione da parte della generazione coinvolta non segui come sarebbe stato normale voglia di capire i motivi della situazione e aprire un sano conflitto generazionale con chi aveva portato a questa situazione una intera generazione, ma ci fu per lo più disinteresse o al massimo un attacco al governo di tecnocratici di allora.
Scrissi allora sul mio profilo personale Facebook la breve nota “La Generazione Perduta dei nati in Italia negli anni Settanta e Ottanta” perché sentivo che alla mia generazione mancasse una coscienza comune della propria condizione, una conoscenza delle cause delle proprie disgrazie e delle informazioni sul magro futuro che ci aspettava. La nota scritta nel 2012, la ampliai nei mesi successivi e nel 2014 — visto che allora il mio blog era in inglese — la ho ripostato su Medium l’articolo “La Generazione Perduta dei nati in Italia negli anni Settanta e Ottanta” corredata di ulteriori dati (di alcune analisi sono debitore a Sergio Ricossa, Luca Ricolfi, Mario Adinolfi ed Enrico Mentana). L’articolo nel Dicembre del 2015 è diventato virale con centinaia di migliaia di visualizzazioni in pochi giorni. Credo abbia aiutato il presidente dell’INPS Tito Boeri che ha ricordato che trentenni di oggi andranno in pensione a 75 anni e con un assegno bassissimo.
L’articolo dunque è stato scritto in un altra fase economica e politica. Si potrebbe aggiornare l’articolo con tutto quello che è successo nel frattempo, ma l’analisi fatta è sostanzialmente ancora vera e rispetto al periodo in cui scrissi l’articolo si potrebbe semplicemente dire che — al momento — si sono fatti passi in avanti, ma insufficienti. Ho trovato invece interessante vedere le reazioni al mio articolo cosi numerose in questi ultimi giorni (da una decina di giorni ricevo decine di email ogni giorno). Leggendo i messaggi che mi sono arrivati e alcune delle migliaia di commenti sui social media ho cercato di capire come vivono i miei coetanei il drammatico scippo intergenerazionale che ho denunciato e ho provato a raggruppare i commentatori del mio articolo in sei gruppi distinti. Lo ho fatto perché credo sia utile per capire perchè abbiamo sopportato la più grossa ingiustizia sociale e generazionale dal dopoguerra ad oggi senza opporci o almeno affrontarla.
Questo elenco non rappresenta ovviamente un quadro generale della generazione dei nati negli anni Settanta e Ottanta dato che sono esclusi coloro che non hanno commentato o condiviso l’articolo per diversi motivi. C’è da considerare che a tanti il sistema nepotistico, non meritocratico e gerontocratico conveniva e conviene. La pecentuale di nati dopo il 1970 che ha potuto costruirsi un presente e un futuro grazie all’attuale sistema medioevale non è piccola ed è giustamente preoccupata che una societa meritocratica ed equa di tipo europeo possa danneggiarla.
- Curiosi. Questa è la categoria più numerosa e che più mi ha sorpreso. Pur cercando di essere più accurato possibile nei dati presentati avevo optato per uno stile provocatorio e mi aspettavo più insulti che complimenti. Invece gli apprezzamenti, le condivisioni e le richieste di maggiori informazioni sono state tante. Tutti messaggi assai graditi. La cosa più sorprendente è che oltre un terzo dei visitatori della pagina pare abbia effettivamente letto l’articolo. Cosa non scontata in un articolo cosi lungo e con molti dati economici. Molto puntuali e gradite anche alcune correzioni o integrazioni ricevute su alcuni punti che ho scritto che alcuni hanno trovato troppo vaghi o semplicemente sbagliati. Qualcuno/a ha addirittura creato pagina Facebook, Twitter e blog sull’articolo.
- Negazionisti. In questa categoria ci sono i tanti che negano la situazione descritta. Alcuni dicono che i giovani sono pieni di soldi, che i ristoranti sono pieni, che tutti hanno la macchina e l’ iPhone, etc. Molti sostengono semplicemente che i giovani “non hanno voglia di lavorare” oppure che il “vero problema” è la “Casta” politica. Mancando critiche specifiche ai punti esposti sospetto che la lettura del mio articolo non ci sia stata o sia stata superficiale. Di fatto in mancanza di una analisi contrapposta e una critica puntuale non mi è stato possibile iniziare nessun confronto o dialogo.
- Scoraggiati. Molti hanno confermato i problemi, ma l’atteggiamento è stato quello di impotenza. Chi è rimasto in Italia cerca di sopravvivere e cerca di non pensare al presente e soprattutto al futuro (chi li ha i soldi per la pensione itegartiva?). Un ragazzo nato nel 1988 mi ha scritto “Cambiare non si può e comunque è troppo tardi”. Eppure basterebbe anche poco. Per esempio boicottare il concertone del 1 maggio visto che i sindacati da oltre vent’anni proteggono i privilegi dei pensionati e dei lavoratori a tempo permanente di grosse imprese a scapito dei giovani, disoccupati, precari e lavoratori di piccole imprese. Vedere ogni anno quella sconfinata marea di precari/sottopagati sotto le insegne dei loro aguzzini da la plastica conferma della inconsapevole coglioneria di un paio di generazioni.
- Cospirazionisti. Questi sono i lettori che danno tutte le colpe a sovrastrutture esterne all’Italia: Euro, Banca Centrale Europea, tecnocrati europei, lobby industriali, etc. Ho letto dozzine di email, commenti, messaggi che riproducono gli stessi identici concetti quasi come se ci fosse una fonte suprema infallibile e dei seguaci acritici. In molte osservazioni ci sono elementi di verità, però il rischio è che bizzarre analisi economiche e la ricerca di un nemico esterno possano diventare un facile alibi e una distrazione per non affrontare i veri problemi.
- Mammoni. In molti lettori giovani sempre pronti ad attaccare “caste” e “politici” ho notato un evidente imbarazzo nel dare una responsabilità concreta a chi ci sta piu’ vicino ed alla generazione dei nostri genitori che con i suoi ingiustificati privilegi ci ha rubato il futuro. Oltre agli aspetti sentimentali e affettivi c’è da considerare che in mancanza di lavoro e social welfare spesso la nostra sussistenza si è basata e si basa sul risparmio dei nostri genitori e sulle “paghette” — dolci anestetici — dei genitori fino, o oltre, i 40 anni e dichiarare guerra a una istituzione o a una corporazione è abbastanza facile, andare contro i propri genitori è decisamente più complicato.
- Ideologici. Da molti lettori dell’articolo sono stato definito “montiano”, “renziano”, “grillino”, “radicale”, “conservatore di destra”, “rivoluzionario sessantottino”, etc. Dall’elenco al momento mancano “alfaniano” e “civattiano”, ma forse arriveranno anche questi epiteti. E le tesi sostenute nell’articolo sono state criticate a prescindere a causa del pregiudizio iniziale. Atteggiamento ideologico e poco produttivo molto diffuso in Italia. Invece bisognerebbe affrontare nel merito ogni discussione a prescindere da chi sia a proporle e avere la forza di essere critici anche rispetto ai partiti/movimenti politici di riferimento, invece di riprodurre il vecchio atteggiamento del “dimmi da che parte ti trovi e io ti do ragione o torto”, a priori.
- Individualisti. Molti mi hano scritto quasi scusandosi di non aver fatto una rivoluzione dicendo che la loro situazione lavorativa, familiare e finanziaria non permettava un impegno politico. Il terrore individualista che genera il precariato, la povertà, la mancanza di prospettive (se sei in difficoltà, pensi innanzitutto alla tua difficoltà) è spesso sottovalutato. La generazione che ha fatto il 68 veniva spesso da situazioni agiate. Negli ultimi anni l’ansia sociale è tanto diffusa che l’idea di unire le forze viene soverchiata dalla necessità di badare ai propri affari.
- Espatriati. Chi è all’estero ha rivendicato la propria buona scelta con uno sguardo aspro e severo per i connazionali rimasti in italia che non combattono. Il dato di fatto certificato dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero è che sono quasi raddoppiati dal 2006 al 2015. Questo significa che il nostro Paese ha giovani di qualità intraprendenti, con capacità per realizzare cose importanti anche all’estero. Ma esistono anche tantissimi italiani che all’estero non ce la fanno e che i media raramente raccontano. A fianco della “Generazione Erasmus” che espatria con un patrimonio culturale, linguistico e culturale cha facilita l’ntegrazione e il successo all’estero, esistono tantissimi giovani che emigrano e sono emigrati di malavoglia negli ultimi anni per estrema necessità avendo pochi strumenti per brillare in contesti diversi da quello italiano. Spesso questa seconda tipologia di espatriati torna sconfitta in Italia e va ad ingrossare le file dei Neet (Not in Education, Employment, or Training) contribuendo alla desertificazione di quella che dovrebbe essere l’età più fertile. La tendenza è al peggio e sta coinvolgendo anche i nati negli anni Novanta e Zero. I Neet, quelli che non studiano e non lavorano, pari a 2,4 milioni tra i 15 e i 29 anni: il loro numero è passato dal 19,3% del 2008 al 26,2% del 2014, a fronte di una media europea molto più bassa, salita dal 13% al 15,4%.
- Eroi. In questa categoria racchiudo tutti coloro che mi hanno accusato di aver diviso la mia generazione in bamboccioni raccomandati che vivono in Italia ed in coraggiosi espatriati che si nutrono di meritocrazia. In realtà ho detto che l’opzione è spesso quella di andare all’estero o di vivere in una società dominata da gerontocrazia, corporazioni, nepotismo, etc. Sapevo già che esistono molti giovani in Italia che non si sono arresi e che con partite IVA, start-up, concorsi vinti senza raccomandazioni, case comprate senza l’aiuto dei genitori, volontariato o impegno politico cercano di andare contro il declino italiano. Dubito che i loro sforzi potranno salvare la Generazione Perduta, ma visto il contesto sociale ed economico in cui operano a loro va tutta la mia stima e rispetto.
- Cretini. Quando si parla della Generazione Perduta dei nati negli anni Settanta e Ottanta c’è spesso una estrema cautela e si cerca di giustificare in tutti i modi il fatto che non ci siamo ribellati. Si cerca quasi di giustificare una ingiustificabile pavidità e stupidità della nostra generazione. Visto che ne faccio parte allora lo dico senza pruderie: sono (siamo) tanti i cretini nella nostra generazione. Prendiamo il concertone dei sindacati a Rome il Primo Maggio. I sindacati come scrivevo nel mio articolo da oltre vent’anni proteggono i privilegi dei pensionati e dei lavoratori a tempo indeterminato di grosse imprese a scapito dei giovani, disoccupati, precari e lavoratori di piccole imprese. E i giovani che fanno? Invece di boicottare l’evento vanno in massa. Vedere ogni anno quella sconfinata marea di precari/sottopagati sotto le insegne dei loro aguzzini da la plastica conferma della inconsapevole coglioneria di un paio di generazioni.
Molti infine mi hanno detto che il mio articolo era un elenco di problemi ma non proponevo soluzioni. Critica che mi ha sorpreso dato che l’articolo non è un programma politico e io non mi candido a nulla. Volevo semplicemente analizzare una generazione (la mia) e le cause delle sue problematiche sperando di far nascere un dibattito e dare informazioni che reputavo carenti a causa di una pessima classe politica, giornalistica e intellettuale che non ha finora mai affrontato seriamente il tema. Chiedermi di proporre soluzioni è come chiedere a un cronista di nera di scrivere nel suo articolo su un omicidio una soluzione sulla criminalità.
L’articolo lo ho scritto anni fa e non mi sono più occupato del tema negli ultimi tempi, anche perché ora io — come molti come me nati negli anni 70 — non sono più giovane, vivo felicemente all’estero senza nessuna intenzione di tornare in tempi brevi in Italia e alla rivoluzione ho rinunciato. Però dato che mi è stato richiesto da più persone, il tema del mio prossimo articolo sarà probabilmente l’elenco dei falsi miti che hanno plagiato la mia generazione e un elenco di azioni politiche e sociali che — se non salvare — possano, a mio parere, almeno cercare di ridurre al minimo i danni per la “Generazione Perduta”.